Pilato fece condurre fuori Gesù, e sedette in tribunale. Disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma essi gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Pilato domandò loro: « Dovrò crocifiggere il vostro re? ». Risposero i gran sacerdoti: « Noi non abbiamo altro re che Cesare ». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Gv. 19, 13-16
Quante volte condanniamo! Quante volte condanniamo a morte! Troppe volte, permettiamo che altri vengano condannati a morte. Un proverbio dice: "Il male, avanza grazie al silenzio dei buoni". Ammesso che noi si sia buoni. Certo, alcuni di noi, meritano oggettivamente e giustamente punizioni severe ed esemplari. Ma da qui a condannare a morte, ce ne vuole. Si può condannare a morte in tanti modi: anche costringendo determinate persone, a vivere in un certo modo, senza dignità, nella fame, nell'incertezza, nell'insicurezza, contro natura. Quando facciamo queste cose, ancora una volta, condanniamo il Re dei re. A volte, condanniamo per vigliaccheria. Condanniamo a morte il debole, per paura di metterci contro il potente. Per non rischiare, di condividere la sua stessa sorte. A volte condanniamo il debole, perché così non dobbiamo fare sacrifici e rinunce (aborto) [non è un giudizio; probabilmente non tutti quelli che fanno questa "scelta tragica" lo fanno per egoismo, ma qualcuno forse sì]. Oppure condanniamo il debole, perché la massa, vuole così. Esattamente come fece Pilato. Bisogna avere il coraggio di andare contro corrente e radicalità per cercare di seguire Cristo, sulla Via della Croce. E nella fattispecie, quando si tratta di Cristo (o di un nostro fratello debole che è Cristo), mi viene in mente il titolo di un album, di uno dei più grandi autori di musica sacra moderna e contemporanea: "Non uccidetelo, è innocente!".