Mamma: un «mestiere» che può cambiare il mondo – di Gennaro Matino – tratto da “Avvenire” del 13/5/2008
« Dio è Madre!» è la nota affermazione che ha caratterizzato il brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I. È un’affermazione che andrebbe rilanciata per ricordare che la maternità è il più grande miracolo della vita.
È il mistero che avvicina la donna all’amore di Dio. Solo la donna ha nel suo grembo e nel suo cuore lo spazio per generare vita e accogliere l’altro da sé. La creatività, la saggezza, la pazienza, l’intuizione, l’empatia e la capacità di donarsi, senza nulla in cambio, sono qualità squisitamente femminili, che fanno della donna l’essere umano capace di cambiare la storia. A una donna, infatti, Dio ha affidato la storia della salvezza. Sicuro di quel «sì» sgorgato dal cuore di Maria, l’Altissimo si è incarnato nel suo grembo e le ha affidato il suo unico Figlio.
Sicuro che non avrebbe tradito la sua creatura, che avrebbe serbato ogni cosa nel suo cuore, Dio ha affidato alla Madre del cielo, e a ogni madre, il destino del mondo. Come Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, ogni madre può fare di suo figlio un uomo nuovo, lontano da un’ideologia maschilista che, avida di potere, ha generato l’infelice cultura del dominio e del possesso. Ogni mamma può trasmettere al suo bambino, maschio o femmina che sia, il vero senso della vita, quel calore che dà sicurezza, che passa fiducia, la certezza di essere perdonati anche quando si sbaglia, di non essere mai soli.
Ogni mamma può costruire nel suo bambino il significato autentico dell’«essere» contro il non senso dell’«avere», che ha trasformato il mondo in un grande mercato, dove si è pronti a vendere e a svendere anche i sentimenti e gli affetti più cari. Eppure, proprio oggi che il mondo avrebbe bisogno più che mai della forza creativa, dello slancio vitale delle donne per voltare pagina e intraprendere i sentieri della speranza, la maternità ha subito un arresto.
E non solo per il calo delle nascite. Per troppo tempo relegata all’ombra dell’uomo, vittima di violenze fisiche, psicologiche, economiche, in balia di stupidi pregiudizi e falsi moralismi, angelo o demonio, imprigionata unicamente nei ritmi biologici della riproduzione, la donna non è mai stata considerata un essere umano, persona, individuo capace di dire e di dare ciò che la storia non le ha chiesto. E forse per questo, nel suo lento, faticoso e spesso drammatico cammino per uscire dall’ombra e conquistare i dovuti spazi, pare aver dimenticato l’essenza del suo ruolo di madre.
Oggi la donna ha poco tempo da dedicare ai figli, spaccata in due tra famiglia e lavoro, nel giusto tentativo di abbattere barriere erette da un secolare retaggio culturale, sembra aver perso la sua identità.
Dall’intreccio di ruoli, di storie personali e di storia sociale, dalla lotta per affermare i suoi diritti è emersa un’immagine confusa di donna: né abbastanza madre, né pienamente realizzata. Donne in carriera, donne manager, professioniste e professionali, con un grande senso etico ed estetico del lavoro, inteso più come servizio alla comunità che come fonte di guadagno e di potere, donne che hanno rotto il silenzio, non sempre hanno saputo dar voce alla ricchezza del loro mondo interiore. Un mondo ancora tutto da scoprire che proprio in quella maternità, spesso negata, sacrificata in nome di altri valori, trova la sua dimensione più vera.
Indubbiamente, oggi è ancora difficile conciliare il ruolo di madre con altre legittime aspirazioni; la nostra società è ancora lontana dall’andare realmente incontro alle madri lavoratrici.
Ma dire «sì» alla maternità, mettere i figli al primo posto, tornare ad essere un punto di riferimento sicuro in questo mondo sconquassato, dove non ci sono più né madri, né padri, solo eterni adolescenti in cerca di se stessi, è dire «sì», come Maria, alla storia della salvezza e al vero riscatto delle donne.
« Dio è Madre!» è la nota affermazione che ha caratterizzato il brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I. È un’affermazione che andrebbe rilanciata per ricordare che la maternità è il più grande miracolo della vita.
È il mistero che avvicina la donna all’amore di Dio. Solo la donna ha nel suo grembo e nel suo cuore lo spazio per generare vita e accogliere l’altro da sé. La creatività, la saggezza, la pazienza, l’intuizione, l’empatia e la capacità di donarsi, senza nulla in cambio, sono qualità squisitamente femminili, che fanno della donna l’essere umano capace di cambiare la storia. A una donna, infatti, Dio ha affidato la storia della salvezza. Sicuro di quel «sì» sgorgato dal cuore di Maria, l’Altissimo si è incarnato nel suo grembo e le ha affidato il suo unico Figlio.
Sicuro che non avrebbe tradito la sua creatura, che avrebbe serbato ogni cosa nel suo cuore, Dio ha affidato alla Madre del cielo, e a ogni madre, il destino del mondo. Come Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, ogni madre può fare di suo figlio un uomo nuovo, lontano da un’ideologia maschilista che, avida di potere, ha generato l’infelice cultura del dominio e del possesso. Ogni mamma può trasmettere al suo bambino, maschio o femmina che sia, il vero senso della vita, quel calore che dà sicurezza, che passa fiducia, la certezza di essere perdonati anche quando si sbaglia, di non essere mai soli.
Ogni mamma può costruire nel suo bambino il significato autentico dell’«essere» contro il non senso dell’«avere», che ha trasformato il mondo in un grande mercato, dove si è pronti a vendere e a svendere anche i sentimenti e gli affetti più cari. Eppure, proprio oggi che il mondo avrebbe bisogno più che mai della forza creativa, dello slancio vitale delle donne per voltare pagina e intraprendere i sentieri della speranza, la maternità ha subito un arresto.
E non solo per il calo delle nascite. Per troppo tempo relegata all’ombra dell’uomo, vittima di violenze fisiche, psicologiche, economiche, in balia di stupidi pregiudizi e falsi moralismi, angelo o demonio, imprigionata unicamente nei ritmi biologici della riproduzione, la donna non è mai stata considerata un essere umano, persona, individuo capace di dire e di dare ciò che la storia non le ha chiesto. E forse per questo, nel suo lento, faticoso e spesso drammatico cammino per uscire dall’ombra e conquistare i dovuti spazi, pare aver dimenticato l’essenza del suo ruolo di madre.
Oggi la donna ha poco tempo da dedicare ai figli, spaccata in due tra famiglia e lavoro, nel giusto tentativo di abbattere barriere erette da un secolare retaggio culturale, sembra aver perso la sua identità.
Dall’intreccio di ruoli, di storie personali e di storia sociale, dalla lotta per affermare i suoi diritti è emersa un’immagine confusa di donna: né abbastanza madre, né pienamente realizzata. Donne in carriera, donne manager, professioniste e professionali, con un grande senso etico ed estetico del lavoro, inteso più come servizio alla comunità che come fonte di guadagno e di potere, donne che hanno rotto il silenzio, non sempre hanno saputo dar voce alla ricchezza del loro mondo interiore. Un mondo ancora tutto da scoprire che proprio in quella maternità, spesso negata, sacrificata in nome di altri valori, trova la sua dimensione più vera.
Indubbiamente, oggi è ancora difficile conciliare il ruolo di madre con altre legittime aspirazioni; la nostra società è ancora lontana dall’andare realmente incontro alle madri lavoratrici.
Ma dire «sì» alla maternità, mettere i figli al primo posto, tornare ad essere un punto di riferimento sicuro in questo mondo sconquassato, dove non ci sono più né madri, né padri, solo eterni adolescenti in cerca di se stessi, è dire «sì», come Maria, alla storia della salvezza e al vero riscatto delle donne.