La devozione ai santi Pietro e Paolo




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Angelodolce
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La devozione ai santi Pietro e Paolo

Messaggio da Angelodolce » lunedì 29 giugno 2009, 9:02

LA DEVOZIONE AI SANTI PIETRO E PAOLO
L’amore ai santi non può essere improvvisato, né si può pensare che in maniera quasi automatica la gente si senta attratta verso i santi titolari della parrocchia. La nostra parrocchia si gloria di un titolo di grande onore e rilievo. L’essere dedicata ai principi degli apostoli è motivo di gioia, ma anche un forte impegno perché i santi Pietro e Paolo siano conosciuti e amati dalla nostra gente.

In questi anni li abbiamo conosciuti ed invocati perché la nostra parrocchia sia sempre più: “cattolica, eucaristica, mariana e carismatica”;

li abbiamo invocati per il progresso della nostra fede e per l’evangelizzazione;

per essere liberati dalle oppressioni del maligno e da ogni potere occulto;

per l’unità tra tutti i cristiani;

per l’illuminazione del popolo di Israele.
San Pietro
Simone era un pescatore di Betsaida (Lc 5,3; Gv 1,44), che si era più tardi stabilito a Cafarnao (Mc 1,2 1.29). Il fratello Andrea lo introduce al seguito di Gesù (Gv 1,42), ma probabilmente Simone era stato preparato a questo incontro da Giovanni Battista. Il Cristo gli cambia nome e lo chiama “Pietra” (Mt 16,17-19; Gv 21,15-17), per realizzare nella sua persona il tema della pietra fondamentale. Simon Pietro è uno dei primi testimoni che vede la tomba vuota (Gv 20,6) ed ha una speciale apparizione di Gesù risorto (Lc 24,34).

Dopo l’ascensione egli prende la direzione della comunità cristiana (At 1,15; 15,7), enuncia le linee programmatiche della Buona Novella (At 2,14-41) e, per diretto intervento dello Spirito Santo, è il primo a prendere coscienza della necessità di aprire la Chiesa ai pagani (At 10—11).

Questa missione spirituale non lo libera dalla condizione umana, né dalle deficienze del suo temperamento.

Paolo non esita a contraddirlo nella famosa discussione di Antiochia (At 15; Gal 2,11-14), per invitarlo a liberarsi dalle pratiche ebraiche. Pare infatti che su questo punto Pietro abbia tardato ad aprire lo spirito e che egli tendesse a considerare i cristiani di origine pagana come una comunità inferiore a quella dei cristiani di origine ebraica (At 6,1-2). Quando viene a Roma, Pietro diviene l’apostolo di tutti. Allora egli compie pienamente la sua missione di “pietra angolare”, riunendo in un solo “edificio” i Giudei ed i pagani e suggella questa missione con il suo sangue.
San Paolo
Paolo, dopo la conversione sulla strada di Damasco, percorre, in quattro o cinque viaggi, il Mediterraneo. Fa il primo viaggio in compagnia di Barnaba (At 13—14): partono da Antiochia, si fermano nell’isola di Cipro e poi percorrono l’Asia Minore, l’attuale Turchia. Dopo il convegno degli apostoli a Gerusalemme, Paolo inizia un secondo viaggio, questa volta espressamente quale “inviato” dei “Dodici” (At 15,36—18,22). Riattraversa l’Asia Minore, evangelizza la Frigia e la Galazia ove si ammala (Gal 4,13). Passa poi in Europa assieme a Luca e fonda la comunità di Filippi (Grecia settentrionale). Dopo un periodo di prigionia evangelizza la Grecia: ad Atene riceve una fredda accoglienza dai filosofi; a Corinto fonda la comunità che gli dà più fastidi. Poi rientra ad Antiochia.

Un terzo viaggio (At 18,23—21,17) lo riporta alle Chiese fondate nella attuale Turchia, specialmente a Efeso, poi in Grecia e a Corinto. Di passaggio a Mileto, annuncia agli anziani le sue prove imminenti. Infatti, poco dopo il suo ritorno a Gerusalemme, è arrestato dagli Ebrei e imprigionato (At 21). Essendo cittadino romano, Paolo si appella a Roma.

Intraprende così un quarto viaggio, verso Roma, ma non più in stato di libertà (At 21—28). Raggiunge Roma verso l’anno 60 o 61; è trattenuto in prigione fin verso il 63; intanto, approfittando di alcune facilitazioni, entra in frequente contatto con i cristiani della città e scrive le “lettere della prigionia”.
Liberato dalla prigione nel 63, compie, probabilmente, un ultimo viaggio in Spagna (Rm 15,24-28) o verso le comunità dirette da Timoteo e da Tito, ai quali scrive delle lettere che lasciano intravedere la sua prossima fine. Arrestato e di nuovo imprigionato, Paolo subisce il martirio intorno all’anno 67.

LE RAFFIGURAZIONI DELL'ABBRACCIO

DEI SANTI PIETRO E PAOLO

MENTRE VENIVANO SEPARATI PER IL MARTIRIO

Entrambi nella fede e nell’amore di Gesù Cristo annunciarono il Vangelo nella città di Roma e morirono martiri sotto l’imperatore Nerone: il primo, come dice la tradizione, crocifisso a testa in giù e sepolto sul colle Vaticano presso la via Trionfale, il secondo trafitto con la spada e sepolto sulla via Ostiense.
La solennità del 29 giugno è antichissima: è stata inserita nel Santorale romano molto prima di quella di Natale. Nei secolo IV si celebravano già tre messe: una in san Pietro in Vaticano, l’altra in san Paolo fuori le mura, la terza alle catacombe di san Sebastiano dove furono probabilmente nascosti per un certo tempo, all’epoca delle invasioni, i corpi dei due apostoli.

Il giorno 29 giugno sembrerebbe essere la ‘cristianizzazionè di una ricorrenza pagana, che esaltava le figure di Romolo e Remo, i due mitici fondatori di Roma, come i due apostoli Pietro e Paolo sono considerati i fondatori della Roma cristiana.

L’icona dei santi Pietro e Paolo ci presenta i due apostoli che si abbracciano. È un gesto semplice e familiare ma che esprime l’essenza del Cristianesimo. In quell’abbraccio di pace e di comunione si rendono visibili le parole del Maestro: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 34-35). Pietro e Paolo definiti “le colonne della Chiesa”, sono innanzitutto testimoni dell’amore che Cristo ha avuto per loro, nonostante le loro debolezze ed infedeltà e che essi, ora che Gesù è risorto e asceso al cielo, sono chiamati a testimoniare.

Gesù per tre volte chiese a Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”. Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecorelle” (Gv 21,15-18).

Gesù chiede a Pietro: “Mi ami?”. Ma Pietro gli risponde “ti voglio bene”. Pietro ha capito dai suoi errori che non è capace di amare Cristo così come Cristo lo ama. Dopo l’esperienza amara del tradimento, Pietro si guarda bene dal dichiarare cose di cui non è capace di portarne il peso. Ha capito che amare Cristo è amare la croce; e la croce è quella via dolorosa che, quando Gesù l’aveva annunciata la prima volta, proprio dopo l’elezione di Pietro a capo della comunità degli apostoli, Pietro l’aveva ripudiata e aveva anche rimproverato Gesù per quel discorso da “perdente”. Ora Pietro ha capito che non si può amare Cristo senza amare la croce, la sola via che porta alla resurrezione.

Gesù, vedendo l’imbarazzo di Pietro, alla terza domanda gli viene incontro: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Ancora una volta l’amore si “annienta”, si abbassa. Verrà poi il momento in cui Pietro dovrà dimostrare di amare il suo Maestro così come è stato amato da lui. E sarà il momento del martirio.

Anche Paolo ha conosciuto l’amore di Gesù che lo ha rigenerato a vita nuova. Paolo era un uomo convito di essere profondamente religioso e osservante della Legge. Radicato nelle tradizioni dei padri, rigido osservate della legge, era un fariseo che proveniva dalla scuola di Gamaliele. Per lui il Cristianesimo era una eresia sorta in seno all’ebraismo e ne contaminava la purezza. Pertanto sua missione era quella di sradicare e distruggere quanti si dichiaravano appartenenti a quella setta.

La storia della sua conversione ha inizio sulla via di Damasco dove resta folgorato da quel Gesù che lui perseguita. Dirà un giorno, testimoniando della sua conversione, di avere avuto la grazia di vedere Gesù risorto, e di essere stato scelto come apostolo: “Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio” (1Cor 15,7-9).

Pietro e Paolo avevano in comune la stessa formazione ebraica in quanto entrambi ebrei. Ma erano profondamente diversi, per carattere, per preparazione culturale e per apertura mentale. Paolo è l’apostolo che per primo ha intuito l’universalità del messaggio di Cristo, liberandolo dalla “schiavitù della Legge mosaica”. Paolo dichiara, scandalizzando i cristiani di origine ebraica e contro il modo di regolarsi di Pietro, che quanti provenivano dal paganesimo potevano diventare cristiani senza ricevere il giogo della circoncisione. È la fede in Cristo che salva. La Legge, infatti, è stata pedagoga a Cristo. Ora che è giunta la pienezza, le cose vecchie sono passate. Leggiamo la testimonianza di Paolo: Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei? (Gal 2,11-14).

Possiamo dire che l’icona dei santi Pietro e Paolo sta ad indicare come grazie a Cristo la comunione non solo è possibile ma è il compito primario della Chiesa. Dice a questo proposito il Concilio Vaticano II: “La Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. Infatti, in Cristo Gesù è avvenuto il primo miracolo della comunione: la natura umana si è unita a quella divina nell’unica persona del Cristo.

Pietro e Paolo simboleggiano l’unione tra ebrei e gentili, cioè tra il mondo pagano e mondo giudaico. Ancora essi sono segno dell’unione tra Oriente ed Occidente. La Chiesa è chiamata a vedere il mondo con due occhi, a respirare con due polmoni. Tutti i tentativi di assolutismo di una parte sull’altra hanno comportato solamente sofferenze alla Chiesa.

Infine, l’abbraccio dei due apostoli ricorda il momento in cui i santi Pietro e Paolo furono separati per essere avviati al martirio. È il loro ultimo e accorato abbraccio prima di dare la vita per colui che avevano amato e servito, Cristo Signore. Questa memoria è conservata ancora in via Ostiense a Roma, tra gli odierni numeri civici 106 e 108 e a circa 300 metri dalla basilica di S. Paolo fuori le mura. Nel punto dove ci fu l’ultimo abbraccio fu, in seguito, eretta una cappella, poi una chiesetta, detta della “Separazione”, visibile fino al novecento. Poi per allargare via Ostiense questa chiesetta fu demolita.



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