Messaggio
da Miriam » sabato 15 novembre 2008, 5:40
“Dio se ci sei, con i dolori tuoi, ascolterai una preghiera”: a chi nella vita non è mai capitato di dire una preghiera a Dio, soprattutto in un momento difficile, in una situazione di prova, in un momento di dubbio?... La preghiera nasce là dove sperimentiamo il limite della nostra natura, del nostro essere creature fragili e quindi bisognose di una luce e di un aiuto che ci possono venire solo dall’altro. È indice chiaro della nostra apertura a Dio, ed è inscritta nel nostro DNA. Tutte le grandi religioni hanno nella preghiera l’espressione più alta della loro esperienza spirituale. Pregando stabiliamo il filo diretto con Dio, accorciamo le distanze con lui, sperimentiamo un profondo senso di pace.
“I figli tuoi, chiedono amore sai”: la grande novità della rivelazione cristiana è l’averci svelato un nuovo rapporto con Dio. Non più soggetti sottomessi a un Dio che fa paura, non più dei numeri ma figli che vivono una relazione d’amore con un Dio che ha il volto di un Padre, che ci ama a tal punto da renderci partecipi della sua stessa vita divina con la morte/resurrezione del suo figlio Gesù. E cosa i figli possono chiedere a un padre se non l’amore? Quell’amore spesso negato, calpestato, incompreso e sottinteso che a volte sperimentiamo nella nostra vita.
“Vite a metà, cuore indeciso che la direzione non ce l’ha/gente che va, senza pensarci su”: nella vita di tutti i giorni, può capitare di perdere quel punto di riferimento che ci orienta nelle azioni quotidiane, per cui viviamo senza una direzione ben precisa, trascinati dagli eventi. Invece di vivere ci lasciamo vivere, consegnando il nostro tempo all’inedia e alla passività. Così a lungo andare sperimentiamo che la vita stessa diventa un peso, perdiamo l’entusiasmo, la capacità di apprezzare il positivo che c’è nelle cose, nelle persone, negli avvenimenti.
“Il bene e il male non lo sa dov’è: quando viene a mancare quel punto fermo che è Dio, anche la nostra vita morale, le nostre scelte e i nostri comportamenti quotidiani non sono più guidati da una chiara coscienza di ciò che è bene e di ciò che è male. Il grande problema della nostra epoca è proprio l’aver perso questa coscienza! È il cosidetto “relativismo etico”: non esistono più norme oggettive riconosciute da tutti, ma ognuno è criterio a se stesso, si costruisce le proprie “norme” a seconda della circostanza e della propria convenienza. Il problema, allora, è quello di ricostruire il giusto rapporto tra esigenza morale/valori normativi e scelte dell’individuo che vive la sua situazione esistenziale in un contesto particolare. In ogni scelta non c’è soltanto in gioco la mia libertà ma anche quella dell’altro con cui mi relaziono. Per cui se la mia scelta/azione rispetta anche la libertà/dignità dell’altro ed è in conformità al valore morale oggettivo può dirsi giusta.
“Male che fa male, tu lo puoi fermare/male che fa male tu non vuoi… libera noi da questo male”: da quando esistono l’uomo e il mondo esistono anche la realtà del bene e del male. Con la nostra libertà noi siamo ogni giorno chiamati a scegliere tra queste due possibilità così diverse e opposte tra loro: male infatti significa “morte”, bene significa “vita”. La rivelazione biblica a riguardo è chiara: “Pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male... scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza” (cf Dt 30, 15-19). C’è quindi un male che è causato da noi, dalle nostre scelte sbagliate e un male che subiamo, causato dagli altri. Il primo può essere eliminato con una conversione della nostra libertà e della nostra coscienza. Il secondo con il nostro impegno a non rispondere al male con il male e a impegnarci in prima persona a fare il bene. Dio ci dà certo l’aiuto ma non può risolvere i problemi con la bacchetta magica… sarebbe troppo comodo per noi! E poi dove andrebbe a finire la nostra libertà?
“Lasciati parlare/lasciati cercare/lasciati vedere e guarda noi”: nell’esperienza religiosa l’illusione più grande è credere che siamo noi a cercare Dio. In effetti è Dio a cercare noi. Siamo, perciò, noi che dobbiamo lasciarci cercare e trovare da Lui! Nella parabola della pecora perduta (Lc 15, 4-7) è proprio Dio che si mette alla ricerca dell’uomo. È sempre Lui a prendere l’iniziativa… Con noi Dio gioca sempre in anticipo!