Perché non riusciamo a riconciliarci con la morte, a
familiarizzare con lei? È nata con noi, viaggia sempre
accanto a noi, è nostra sorella, anzi, gemella. E noi
continuiamo a ritenerla nemica, a ignorarla come se non
esistesse.
Eppure, da questa avventura della vita, nessuno uscirà vivo.
Nonostante i prodigi tecnologici, le scoperte mediche, non
c'è da farsi illusioni, se ti va bene, puoi contare su 25.000
giorni, mille più mille meno, poi non ce ne saranno altri per
nessuno.
Ma la morte non è alla fine, ma dentro la vita stessa.
Infatti, dopo i 25 anni, muoiono ogni giorno 25.000 cellule
cerebrali senza essere sostituite. L'ultimo giorno dunque non
è che un finire di morire.
Viviamo dunque sulle frontiere dell'eternità, e non ci
pensiamo. Tutta l'infelicità dell'uomo viene dalla sua
ostinazione di non accettarsi quaggiù come provvisorio.
Questa convinzione basterebbe da sola a liquefare tutta quella
bava che l'umanità secerne nel suo quotidiano affannarsi in
ambizioni impossibili, in rancori, invidie ...
Avremmo meno insonnie, ulcere, infarti, meno cimiteri di
guerra, prigioni, cliniche psichiatriche.
Si dice sempre: siamo mortali, la vita è un soffio, ma non si
agisce conformemente. Il guaio è che, dimenticando la morte,
finiamo per falsare i nostri rapporti con gli altri, anche con
Dio, a giocare con lui a carte truccate.
Ignoto