Il dramma del suicidio a causa della crisi
Inviato: lunedì 30 aprile 2012, 20:54
Il suicidio è sbagliato. Il suicidio, non è la soluzione. Il suicidio, non è la cosa migliore, la cosa più intelligente, la cosa più furba, la cosa più conveniente da fare. Premesso questo, i suicidi, meritano rispetto. In particolare, meritano rispetto questi particolari suicidi: dipendenti, operai, imprenditori. Se c'è da porre in essere una condanna eterna o temporanea, c'è già "un" Giusto Giudice che ci penserà, con piena e totale Giustizia. Non sta a noi giudicare. E per questo meritano rispetto (salvo la malsana ipotesi di apologia, pubblicità, chiasso, sfacciataggine... quella è altra questione). Ma ci si deve domandare quale sia la responsabilità della società, della collettività davanti a questo. "Se uno crede non si suicida". Be'... si deve vedere. Uno può credere... e la Provvidenza aiuta. Ma accade anche che i soldi davvero non ci siano... non per lusso... ma per necessità. "Non di solo pane vivrà l'uomo", presume la necessità del pane. Per non parlare di chi si sente in colpa, perché "toglie", il pane agli altri... dovendo chiudere l'impresa. È un momento molto difficile; ma se chi ha di più, non dà di più... le cose potranno solo peggiorare. E se chi ha di più, non vuole dare di più, si deve prendere: con la legalità, con la forza dello Stato; senza scadere nel materialismo e nel relativismo Comunista. Ma quale altra soluzione c'è? Qui la gente muore! Davanti a questo uno non può dire: "Adesso vediamo... aspettiamo!". Aspettiamo cosa? Che la crisi si risolva da sé? Sì, e lì c'è l'asino che vola! O che il 10% dei disoccupati italiani (ammesso che non siano di più) si suicidi? E non possiamo dire: "Non è un nostro problema... io che posso farci!". «Chiederò conto della vita dell'uomo all'uomo, e a ognuno, di suo fratello» (Dio). Né si può pretendere che Dio risolva i nostri problemi. "Aiutati che Dio ti aiuta". La crisi, è una prova per tutti. Innanzitutto, per i più ricchi. E per ragioni diverse, anche per i meno ricchi. La società, la collettività, deve fare qualcosa di concreto per impedire tutto questo. La Caritas, sta facendo parecchio: in alcune diocesi, si istituiscono fondi per la disoccupazione. Ma evidentemente, non basta. Quando renderemo conto a Cristo, ci chiederà, specie se avendo avuto "discrete" possibilità, se abbiamo aiutato chi è in difficoltà. Ma occorre qualcosa di più ampio. La Carità è potente. Ma la Carità del singolo, ha alcuni limiti. La Carità di una collettività, di un gruppo, sì, di uno Stato, diventa "Amore senza limiti", perché diretta espressione dell'Amore di Dio. E non è "Carità".... nel senso moderno... vergognoso... ("Non ho bisogno della tua carità!" ) è Carità in senso classico, Solidarietà, è Amore: i centri diocesani della Caritas, che hanno istituito i citati fondi, finanziano le imprese in difficoltà, affinché queste assumano. In breve, si cerca di dare ai disoccupati, lavoro (retribuito), non soldi. Ovvero, la cosa migliore che si possa fare. Affinché si possa pervenire a una parvenza di "esistenza libera e dignitosa", sempre più disattesa dalla nostra ormai utopistica Costituzione.