Dio ci ama, ecco tutto quello che ci serve
Inviato: mercoledì 4 maggio 2011, 17:56
Quando un messaggero è di ritorno da una battaglia, inizialmente non si perde esponendo i fatti nei particolari, ma va subito al centro della questione. In questo senso devono essere prese le prime parole di Paolo nella sua lettera ai romani. Gesù Cristo era da pochi anni asceso al Cielo, si stavano formando comunità giudeo-cristiane o gentili-cristiane in tutta l'area mediterranea e molti pensavano imminente la seconda venuta del Signore, quella gloriosa, per instaurare in maniera definitiva il Suo Regno. Era quindi necessario trasmettere il messaggio della Buona Novella in maniera veloce, esatta, e puntando soprattutto all'essenziale. È in questo contesto che deve essere inquadrato tutto il Nuovo Testamento e in special modo le prime parole delle lettere in esso contenute. Ci sono molte interpretazioni diverse della Bibbia, e molte persone che vivono il Cristianesimo in modo piuttosto personale, ma credo che nessuno possa negare questo fondamento: dall'inizio alla fine della Bibbia, vi è un solo filo conduttore e cioè che Dio ci ama e desidera avere un rapporto personale con noi. "A quanti sono in Roma, amati da Dio e santi per vocazione, grazia e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (Rm 1,7). Se dovessi riassumere tutta la Bibbia in poche parole direi proprio così: Dio di ama. Non direi "Dio Esiste", oppure "Dio è Amore", e neanche "dobbiamo tutti amarci e fare del bene"... tutte queste cose sono verissime, ma non sono il centro della vicenda cristiana. Possiamo essere delle persone splendide, moralmente sopraelevate, sapienti e saggi, ma tutto questo non fa di noi dei cristiani. Possiamo benissimo credere che forse qualcosa c'è dietro questa vita, che Dio esiste, ma questo non basta per farci dei cristiani. Neanche credere che Dio è Amore, conoscere la Bibbia, frequentare la Chiesa, andare ai campi-scuola, andare a Messa tutte le settimane o dire costantemente il Sacro Rosario: nessuna di queste cose potrà mai farci diventare cristiani. Molti di noi si sforzano di vivere una vita religiosa, e possono anche imparare decine di preghiere a memoria o centinaia di versetti biblici, ma continuano a vivere nella paura, nell'incertezza, oscillando tra alti e bassi, senza mai raggiungere la pace interiore. Sentono che la loro vita è piena di sconfitte; "sono momenti", pensano, ma non si rendono conto che quei momenti stanno diventando tanti, troppi. E alla fin fine si sentono soli. Da dove può venire la forza per superare una separazione di famiglia, una bocciatura, una tragedia, la morte di qualche parente, da dove può venire la costanza di combattere giorno dopo giorno i piccoli e grandi problemi di questa vita? Proviamo a sciogliere il nostro cuore e scaldare la nostra mente al fuoco dell'Amore di Dio, poi, come un ferro, quando sarà caldo potremo batterlo e piegarlo, affinché la sua Parola non rimanga in noi lettera morta. Il Dio che Gesù di Nazareth ci presenta non è solo un Dio che ama, ma un Dio che ama noi, uno per uno, ognuno di noi con i suoi difetti e i suoi pregi; ci ama come siamo, perchè è Amore, ma anche perché ci vede già come saremo. Immaginiamo per un attimo una persona che fa dei progetti per la costruzione della casa della sua vita, immaginiamo di vedere questa casa nei primi giorni di costruzione, quando solo l'intelaiatura è presente: la casa è ancora inabitabile, non la si può neanche definire casa, ma l'architetto già la ama moltissimo perché vede in essa come sarà al termine dei lavori. Ecco noi, chi più e chi meno, siamo a quello stadio; come nessuno si sognerebbe di abitare in quella casa, così nessuno oserebbe puntare su di noi, avere fiducia in noi, se non chi ci ama talmente tanto da vedere in noi l'opera realizzata e compiuta. È per questo che Dio vuole avere un rapporto personale con ciascuno di noi, per costruirci dal di dentro, cosicché possiamo diventare degli splendidi esseri umani, veri Figli della Luce. Se Dio esiste, non mi serve sicuramente che Egli stia in Cielo e noi in Terra. Se Egli ci ha dato solo le regole per la convivenza, ma non ci dà la forza di affrontarle, se Egli vuole solo metterci alla prova per vedere se siamo degni del Paradiso e non interviene nella nostra vita quotidiana, io non voglio avere niente a che fare con questo Dio e voglio essere un senza-Dio, un ateo. Ma la realtà delle Scritture e la vita spirituale che possiamo sperimentare è ben diversa. Vediamo che cosa ci comunica lo Spirito attraverso le Scritture.
L'espressione "Amore di Dio" ha due accezioni molto diverse tra loro: una in cui Dio è oggetto e l'altra in cui Dio è soggetto; una che indica il nostro amore per Dio e l'altra che indica l'Amore di Dio per noi. La ragione umana incline per natura ad essere più attiva che passiva, ha sempre dato la precedenza al primo significato, cioè al "'dovere" di amare Dio. Aristotele diceva che Dio muove il mondo in quanto è amato, ma la Bibbia dice l'esatto contrario, e cioè che Dio muove il mondo in quanto ama il mondo (1 Gv 4,10). Addirittura, dal Suo Amore dipende la nostra stessa capacità di amare (1 Gv 4,19). Dobbiamo quindi ristabilire il giusto ordine delle cose: prima del mio amore viene il Suo, prima della mia azione viene la Sua, prima della mia fede in Lui, viene la fiducia che egli ha in me, quindi prima del comandamento viene il dono. Ma facciamo un passo oltre: l'A.T. è come una meravigliosa cassa di risonanza in cui le parole del N.T. trovano il loro suono pieno, come del resto il N.T lo è a maggior ragione per l'A.T. Applichiamo questo principio per cogliere il senso profondo del messaggio «amati da Dio»: questa espressione viene a dire che i cristiani di Roma sono l'Israele del compimento; infatti Israele è il popolo amato da Dio; è come se Paolo trasferisse alla Chiesa tutte le prerogative dell'Amore di Dio di cui aveva goduto Israele nell'A.T. Con la prima Alleanza Dio aveva preferito un popolo agli altri per farsi conoscere e testimoniare il Suo Amore forte come la morte (Ct 8,6). In Gesù Cristo, Egli vuole portare a compimento il Suo progetto di farci Figli suoi, di formare una famiglia unita nel suo Amore (Rm 8,29). Nella Bibbia Dio ricorre a varie figure per spiegarci il Suo Amore per noi, pur non essendo nessuna di queste esaustiva.
In Rm 5,1-5 ritornano le 3 parole del saluto: amore, pace e grazia, con in più l'indicazione della sorgente di tutto ciò: la giustificazione mediante la fede in Cristo. L'espressione «amati da Dio» non si riferiva quindi solo a cose passate, ad un titolo che la Chiesa ha ereditato da Israele, ma ad una realtà nuova e tutt'ora in atto. Il punto fondamentale di questo brano per Paolo non è esplorare l'origine o il mezzo con cui Dio ci trasmette questo amore, ma annunciare l'Amore rivoluzionario di Dio: l'Amore di Dio è venuto ad abitare stabilmente dentro di noi. Non solo siamo amati da Dio, ma «possediamo» il Suo stesso Amore, cioè Lui stesso, per grazia, tramite il Battesimo (tramite la volontà stessa di Dio). Ma cos'è questo amore che è stato riversato nel nostro cuore? È un sentimento di Dio per noi ? Un'inclinazione ? È molto di più: è qualcosa di reale. È alla lettera l'Amore di Dio, cioè l'amore che c'è in Dio, il fuoco stesso che arde nella Trinità e che viene partecipato a noi sottoforma di «inabitazione» (Gv 14,23). Diventiamo così partecipi della natura divina (2 Pt 1,4), cioè partecipi dell'Amore Divino. Veniamo a trovarci misteriosamente, come presi dentro il vortice delle operazioni trinitarie. Questo è il dono di Dio, per la sua grazia il Suo Amore abita in noi. Facciamo un passo ulteriore: il versetto Rm 5,5 non si capisce a fondo se non alla luce della parola di Gesù: ..."perché l'Amore con il quale mi hai amato sia in essi" (Gv 17,26). L'Amore che è stato effuso, cioè riversato in maniera traboccante è quello stesso con cui il Padre, da sempre, ama il Figlio, non un Amore diverso. Ci troviamo così anche a vivere lo scambio di amore trinitario, tra il Padre e il Figlio, e tra questi due e lo Spirito Santo. Tutto questo è sperimentabile da ciascuno di noi, non solo dai mistici o da cristiani speciali, ma da ciascuno di noi. Chi lo prova almeno una volta nella sua vita, rischia di impazzire dalla gioia: vede il mondo cambiare, e cambia davvero sotto le sue mani, sotto le sue azioni, perché non sono più solo le sue azioni, ma l'azione di Dio che attraverso di lui, inizia ad amare, ad avvicinare, a trasformare le persone che gli stanno accanto. Vedremo successivamente in che modo possiamo appropriarci di questa verità e perché molti cristiani non sperimentano mai l'Amore di Dio.
La terza parola che Paolo pronuncia intorno all'Amore nella lettera ai Romani è una parola esistenziale che tocca l'aspetto più realistico di questa vita: la sofferenza. Quante volte nella sofferenza ci siamo sentiti abbandonati? Quante volte abbiamo detto: "Perchè proprio a me?", oppure: "Allora Dio, Tu non mi ami ?", oppure, "Allora Tu non esisti"?. La sofferenza tocca la radice del nostro essere, specialmente quando è ingiusta (ma quando mai è giusta?), quando è rivolta all'innocente (vedi Giobbe), quando tocca i nostri cari. La nostra rabbia sale fino al Cielo, ed è giusto che sia così, è nella logica dell'Amore. Anche Abramo ha combattuto con Dio per l'annientamento di Sodoma e Gomorra, anche Giacobbe ha combattuto con Dio. Ma era una battaglia d'Amore, di Amore vero non quello fatto di sentimento, ma fatto di fiducia e di forza.
Ma se i nostri occhi continuassero a guardare a questa vita come unico punto di riferimento, se essa assumesse il valore supremo, non esisterebbe spiegazione che tenga, la vita diventa davvero solo dolore e disperazione, perché la sofferenza è sempre negazione della vita. In questo passo invece Paolo sembra dirci di non guardare all'apparenza, di non fidarci dei nostri sensi e dei nostri sentimenti più del dovuto: siamo più che vincitori ! Dietro ogni sofferenza, ogni atrocità, c'è un piano di Dio, pronto a ribaltare questa situazione con logiche che non sono di questa Terra. Dio non desidera la sofferenza, e non è causa di sofferenza, ma talvolta la permette per mostrarci, paradossalmente il Suo Amore. Spesso siamo così pieni di noi stessi, che niente può entrare oltre a noi stessi. La sofferenza è un'ottima scavatrice, lascia dietro di sé un vuoto enorme, che può, adesso, essere riempito dall'Amore. Il Suo Amore va al di là di ogni cosa, niente può separarci dal Suo Amore, forse noi possiamo smettere di amarlo, forse accecati dal nostro peccato e dalle circostanze della vita possiamo non sperimentare il Suo Amore, ma Paolo insiste: niente ti può separare dall'Amore di Dio, niente! Dio continuerà ad amarti, non solo come parte del popolo, ma come singolo individuo per quello che sei, quasi avesse bisogno di te, come un tuo amico (Gv 15,15). Teniamo sempre a mente la Parola di Dio sul Suo Amore per noi, quando la Sua stessa Parola diverrà severa, e ci rimprovererà il nostro peccato e i nostri peccati o quando il nostro stesso cuore si metterà a rimproverarci, o quando giungeremo alla notte dei sensi, nell'aridità del deserto, una voce deve continuare a ripetere dentro di noi: «Ma Dio mi ama!», «Niente mi può separare dall'Amore di Dio, neppure il mio peccato!».
L'espressione "Amore di Dio" ha due accezioni molto diverse tra loro: una in cui Dio è oggetto e l'altra in cui Dio è soggetto; una che indica il nostro amore per Dio e l'altra che indica l'Amore di Dio per noi. La ragione umana incline per natura ad essere più attiva che passiva, ha sempre dato la precedenza al primo significato, cioè al "'dovere" di amare Dio. Aristotele diceva che Dio muove il mondo in quanto è amato, ma la Bibbia dice l'esatto contrario, e cioè che Dio muove il mondo in quanto ama il mondo (1 Gv 4,10). Addirittura, dal Suo Amore dipende la nostra stessa capacità di amare (1 Gv 4,19). Dobbiamo quindi ristabilire il giusto ordine delle cose: prima del mio amore viene il Suo, prima della mia azione viene la Sua, prima della mia fede in Lui, viene la fiducia che egli ha in me, quindi prima del comandamento viene il dono. Ma facciamo un passo oltre: l'A.T. è come una meravigliosa cassa di risonanza in cui le parole del N.T. trovano il loro suono pieno, come del resto il N.T lo è a maggior ragione per l'A.T. Applichiamo questo principio per cogliere il senso profondo del messaggio «amati da Dio»: questa espressione viene a dire che i cristiani di Roma sono l'Israele del compimento; infatti Israele è il popolo amato da Dio; è come se Paolo trasferisse alla Chiesa tutte le prerogative dell'Amore di Dio di cui aveva goduto Israele nell'A.T. Con la prima Alleanza Dio aveva preferito un popolo agli altri per farsi conoscere e testimoniare il Suo Amore forte come la morte (Ct 8,6). In Gesù Cristo, Egli vuole portare a compimento il Suo progetto di farci Figli suoi, di formare una famiglia unita nel suo Amore (Rm 8,29). Nella Bibbia Dio ricorre a varie figure per spiegarci il Suo Amore per noi, pur non essendo nessuna di queste esaustiva.
In Rm 5,1-5 ritornano le 3 parole del saluto: amore, pace e grazia, con in più l'indicazione della sorgente di tutto ciò: la giustificazione mediante la fede in Cristo. L'espressione «amati da Dio» non si riferiva quindi solo a cose passate, ad un titolo che la Chiesa ha ereditato da Israele, ma ad una realtà nuova e tutt'ora in atto. Il punto fondamentale di questo brano per Paolo non è esplorare l'origine o il mezzo con cui Dio ci trasmette questo amore, ma annunciare l'Amore rivoluzionario di Dio: l'Amore di Dio è venuto ad abitare stabilmente dentro di noi. Non solo siamo amati da Dio, ma «possediamo» il Suo stesso Amore, cioè Lui stesso, per grazia, tramite il Battesimo (tramite la volontà stessa di Dio). Ma cos'è questo amore che è stato riversato nel nostro cuore? È un sentimento di Dio per noi ? Un'inclinazione ? È molto di più: è qualcosa di reale. È alla lettera l'Amore di Dio, cioè l'amore che c'è in Dio, il fuoco stesso che arde nella Trinità e che viene partecipato a noi sottoforma di «inabitazione» (Gv 14,23). Diventiamo così partecipi della natura divina (2 Pt 1,4), cioè partecipi dell'Amore Divino. Veniamo a trovarci misteriosamente, come presi dentro il vortice delle operazioni trinitarie. Questo è il dono di Dio, per la sua grazia il Suo Amore abita in noi. Facciamo un passo ulteriore: il versetto Rm 5,5 non si capisce a fondo se non alla luce della parola di Gesù: ..."perché l'Amore con il quale mi hai amato sia in essi" (Gv 17,26). L'Amore che è stato effuso, cioè riversato in maniera traboccante è quello stesso con cui il Padre, da sempre, ama il Figlio, non un Amore diverso. Ci troviamo così anche a vivere lo scambio di amore trinitario, tra il Padre e il Figlio, e tra questi due e lo Spirito Santo. Tutto questo è sperimentabile da ciascuno di noi, non solo dai mistici o da cristiani speciali, ma da ciascuno di noi. Chi lo prova almeno una volta nella sua vita, rischia di impazzire dalla gioia: vede il mondo cambiare, e cambia davvero sotto le sue mani, sotto le sue azioni, perché non sono più solo le sue azioni, ma l'azione di Dio che attraverso di lui, inizia ad amare, ad avvicinare, a trasformare le persone che gli stanno accanto. Vedremo successivamente in che modo possiamo appropriarci di questa verità e perché molti cristiani non sperimentano mai l'Amore di Dio.
La terza parola che Paolo pronuncia intorno all'Amore nella lettera ai Romani è una parola esistenziale che tocca l'aspetto più realistico di questa vita: la sofferenza. Quante volte nella sofferenza ci siamo sentiti abbandonati? Quante volte abbiamo detto: "Perchè proprio a me?", oppure: "Allora Dio, Tu non mi ami ?", oppure, "Allora Tu non esisti"?. La sofferenza tocca la radice del nostro essere, specialmente quando è ingiusta (ma quando mai è giusta?), quando è rivolta all'innocente (vedi Giobbe), quando tocca i nostri cari. La nostra rabbia sale fino al Cielo, ed è giusto che sia così, è nella logica dell'Amore. Anche Abramo ha combattuto con Dio per l'annientamento di Sodoma e Gomorra, anche Giacobbe ha combattuto con Dio. Ma era una battaglia d'Amore, di Amore vero non quello fatto di sentimento, ma fatto di fiducia e di forza.
Ma se i nostri occhi continuassero a guardare a questa vita come unico punto di riferimento, se essa assumesse il valore supremo, non esisterebbe spiegazione che tenga, la vita diventa davvero solo dolore e disperazione, perché la sofferenza è sempre negazione della vita. In questo passo invece Paolo sembra dirci di non guardare all'apparenza, di non fidarci dei nostri sensi e dei nostri sentimenti più del dovuto: siamo più che vincitori ! Dietro ogni sofferenza, ogni atrocità, c'è un piano di Dio, pronto a ribaltare questa situazione con logiche che non sono di questa Terra. Dio non desidera la sofferenza, e non è causa di sofferenza, ma talvolta la permette per mostrarci, paradossalmente il Suo Amore. Spesso siamo così pieni di noi stessi, che niente può entrare oltre a noi stessi. La sofferenza è un'ottima scavatrice, lascia dietro di sé un vuoto enorme, che può, adesso, essere riempito dall'Amore. Il Suo Amore va al di là di ogni cosa, niente può separarci dal Suo Amore, forse noi possiamo smettere di amarlo, forse accecati dal nostro peccato e dalle circostanze della vita possiamo non sperimentare il Suo Amore, ma Paolo insiste: niente ti può separare dall'Amore di Dio, niente! Dio continuerà ad amarti, non solo come parte del popolo, ma come singolo individuo per quello che sei, quasi avesse bisogno di te, come un tuo amico (Gv 15,15). Teniamo sempre a mente la Parola di Dio sul Suo Amore per noi, quando la Sua stessa Parola diverrà severa, e ci rimprovererà il nostro peccato e i nostri peccati o quando il nostro stesso cuore si metterà a rimproverarci, o quando giungeremo alla notte dei sensi, nell'aridità del deserto, una voce deve continuare a ripetere dentro di noi: «Ma Dio mi ama!», «Niente mi può separare dall'Amore di Dio, neppure il mio peccato!».