Il senso del peccato


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Benedetto
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Il senso del peccato

Messaggio da Benedetto » giovedì 28 ottobre 2010, 18:04

SENSO DELLA COLPA E SENSO DEL PECCATO

Don Mario Cascone

Nel nostro tempo si smarrisce sempre più il senso del peccato, che è per sua natura direttamente proporzionale al senso di Dio. Quanto più l’uomo si incontra “a tu per tu” con il Signore, tanto più scopre e conosce i suoi peccati, sentendosi indegno di stare al cospetto di Dio. Succede come quando vediamo i mobili di una stanza al buio: la polvere sopra di essi non si nota… Ma non appena accendiamo la luce o apriamo la finestra, immediatamente ci accorgiamo della polvere che si è accumulata… Dio è luce, che mette a nudo le nostre mancanze, ma lo fa con amore e misericordia, ossia facendoci avvertire il bisogno di togliere da noi la “polvere” che forse da tempo abbiamo accumulato nella nostra vita.

Tutto questo però non va confuso con un semplice sentimento psicologico, con un’emozione, perché altrimenti non sarebbe autenticamente liberante. Un altro abbaglio del nostro tempo è quello di interpretare il peccato in termini puramente psicologici, legandolo al senso di colpa che la persona prova dopo aver compiuto una trasgressione. Una tale concezione è fuorviante, perché porta a pensare che sia peccato solo ciò che fa sentire in colpa, mentre tutto il resto, anche se oggettivamente non rispetta la legge di Dio, non viene ritenuto peccato grave…

Senso della colpa e senso del peccato sono due cose molto diverse tra di loro. Proviamo a coglierne alcune differenze:

* Il senso della colpa è psicologico, mentre il senso del peccato è teologico
* Il senso della colpa è monologico, ossia consiste nell’io che guarda dentro se stesso; il senso del peccato è dialogico, perché riguarda il rapporto tra l’uomo è Dio, si coglie nel sentirsi guardati e amati dal Signore
* Il senso della colpa è frustrante, perché produce amarezza, insoddisfazione, rabbia verso se stessi, rassegnazione al male compiuto; il senso del peccato è liberante, perché fa vedere il male come qualcosa da cui la potenza di Dio può trarre il bene; di conseguenza convince il peccatore a “consegnare” il male da lui compiuto alla misericordia del Signore, che sa scrivere dritto anche sulle righe storte della nostra esistenza…
* Il senso della colpa è legato al timore, quello del peccato all’amore: la colpa, infatti, nasce dalla consapevolezza della trasgressione di una regola; il peccato dalla coscienza di avere offeso l’amore di Dio e di aver deluso le sue attese di Padre, la fiducia da lui riposta nei nostri confronti
* Il senso del peccato è allora maturante, perché ci fa crescere nel desiderio di amare il Signore e, prima ancora, di lasciarci amare da Lui; il senso della colpa invece rischia di farci restare sempre fermi allo stesso punto, perché può portare a fissarci su alcune trasgressioni, impedendoci di verificare tutto l’ampio panorama del nostro rapporto con Dio, con i fratelli e con noi stessi. Il rischio è quello di confessare solo ciò che ci fa “sentire” in colpa, e non quello che realmente ferisce in noi l’amore di Dio
* Solo l’autentico senso del peccato genera in noi il dolore perfetto, quello cioè che si lega all’amore e non alla paura del castigo di Dio. Lo diciamo già nell’atto di dolore: “Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi e molto più perché ho offeso Te infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa”



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Re: Il senso del peccato

Messaggio da Venerabile Beda » venerdì 29 ottobre 2010, 11:11

Il senso del peccato, si è perso se non in tutto, in parte.
E si perderà sempre di più, probabilmente.
Del resto non è una sorpresa, conoscendo la Scrittura.
Il problema, è sì la società.
Ma a mio avviso, è anche la mancanza di adeguata cultura religiosa.
Sono discorsi già fatti: si consente l'accesso ai sacramenti anche a chi non ha adeguata preparazione. Si obietterà: "Ma il senso del peccato, è una questione di sensibilità, di cuore, non di preparazione". Vera la prima proposizione, ma falsa la seconda. Perché se materialmente non so a livello teorico, se un'azione è un peccato, non potrò usare la sensibilità che mi è stata data. Io posso essere la persona più sensibile e attenta del mondo, ma in un mondo dove molto in campo "culturale", è contrario alla Legge di Dio, se non lo "studio", che quella cosa è peccato, non ci arriverò più con la sola coscienza. Perché la mia coscienza è già alterata, da TV, Cinema, libri, Internet ecc.
Allora sì la sensibilità. Ma è altrettanto necessaria la preparazione... adeguata. La Chiesa però, dovrebbe (lo dico rispettosamente), aggiornare il lessico. Se parli a giovani praticanti di peccato, forse qualcosa la comprendono. Ma se parli a giovani non praticanti, di peccato, non sanno nemmeno di cosa parli.
Peccato, nella lingua parlata, si usa solo per dire: "Peccato! Non abbiamo potuto vedere quel film!".
Vogliamo chiamare il peccato per quello che è?
Il peccato è un errore. Ma questa traduzione non rende l'idea.
Non esiste un'espressione sintetica, un sinonimo contemporaneo.
Occorre un costrutto analitico. Una perifrasi. Oppure è necessario creare un neologismo. Ma i neologismi di solito, non si creano a tavolino.
Il peccato, è non amare Dio, non metterlo al posto che merita nella nostra vita: al primo. Questo è il peccato.
E al secondo posto, ci deve essere ancora Dio.
Poi tutto il resto.

Questo per me è il peccato: mettere Dio a un posto diverso dal primo.

(Magari se vogliamo, Dio Padre al primo posto e Cristo Signore al secondo).

Con tutte le conseguenze pratiche e teoriche che questo comporta.

Allora, se si riserva sempre a Dio il primo posto (e magari anche il secondo, pur mantenendo il primo), non si fa nulla, di volontariamente contrario alla Sua Legge.

Salvo gli "errori", inevitabili, che scaturiscono dalla nostra irrisolvibile (in questa dimensione), limitatezza.


Ma spesso, noi Dio, non lo si mette (all'atto pratico) nemmeno al terzo posto... ed ecco... il peccato.


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Re: Il senso del peccato

Messaggio da Benedetto » sabato 30 ottobre 2010, 8:15

IL PECCATO

NOZIONE
La nozione di peccato è di natura essenzialmente teologica, cioè religiosa; in filosofia ed in diritto si parla di male morale, di errore, di colpa, sempre e soltanto in relazione alla ragione o ad una legge naturale o positiva, mentre il peccato, teologicamente inteso, è propriamente errore, colpa, male morale, ma concepito come libera e volontaria trasgressione, in pensieri, parole, opere o omissioni, della volontà di Dio, di cui ogni legge è espressione.

È celebre la definizione di sant'Agostino (Contra Faustum, XXII, 27), il quale, volendo porre in rilievo la parte materiale del peccato, lo definì: «Dictum, factum vel concupitum contra legem æternam», ovvero «parole, opere o desideri contro la legge eterna».

Qualsiasi atto contrario alla legge divina, considerato oggettivamente, costituisce peccato, ma soggettivamente la maggiore o minore imputabilità di esso a chi lo commette dipende da tre condizioni:

1. materia grave
2. piena avvertenza dell'illiceità dell'atto (conoscenza di una legge che lo vieta)
3. perfetto e deliberato consenso della volontà

Per quanto riguarda la gravità della materia del peccato, risulta chiaro che, ad esempio, rubare 50 Cent non sia lo stesso che rubare 500 Euro.
Per la piena avvertenza, si intende la consapevolezza che un'azione sia illecita. Così, pur dandosi la gravità della materia, non per questo si compie peccato mortale. Ad esempio, se non si conosce l'esistenza del precetto festivo (partecipare alla Messa la Domenica e nelle feste comandate), l'atto contrario al precetto non è un peccato mortale.
Per il perfetto consenso, si intende la possibilità di scegliere volontariamente di compiere un'azione peccaminosa. Così, ad esempio, non pecca colui che viene obbligato contro volontà a porre un atto che egli sa essere illecito.

I peccati non si oppongono tutti nello stesso modo alla legge terna ed alla retta ragione. Evidentemente, in ben diverso modi vi si oppongono l'omicidio e lo stupro, la bestemmia e il furto, l'incredulità e la disperazione. Se ne deduce che i peccati sono tra loro diversi specificamente. Tale diversità specifica proviene anzitutto dalla diversità dell'oggetto formale, cioè dalla diversità dell'oggetto considerato non secondo il loro essere fisico, ma secondo il loro essere morale.

Per questo l'omicidio, l'adulterio e il furto, ad esempio, anche se compiuti contro una medesima persona, sono peccati materialmente, formalmente e specificamente diversi. La differenza specifica è determinata dal fatto che i peccati si oppongono a virtù diverse (nel caso in esempio, la carità, la purezza, e la giustizia) o diversi comandamenti (il 5°, il 6° ed il 7°).

PECCATI MORTALI E PECCATI VENIALI
Dal punto di vista oggettivo come da quello soggettivo, non si possono porre su uno stesso piano di gravità tutti gli atti; a seconda e nel grado in cui le varie condizioni concorrono all'esecuzione di un determinato atto, questo può essere - secondo la divisione della teologia cattolica - mortale o veniale.

Contrariamente alla dottrina di molte chiese protestanti, le quali non ammettono la divisione e ritengono i peccati ugualmente gravi, il Concilio di Trento (Sess. VI, cap. 5 e 15, can. 23, 25 e 27) ha definito come dottrina di fede che il peccato mortale ed il peccato veniale sono l'uno dall'altro distinti per loro natura.

La differenza fondamentale sta in questo: il peccato mortale comporta un disordine rispetto al fine ultimo, cioè l'allontanamento da Dio comme sommo Bene; il peccato veniale invece comporta un disordine solo circa i beni inferiori, dipendenti dal Bene supremo e ad esso subordinati.

Il peccato mortale è l'atto della volontà con cui riportiamo il nostro ultimo fine nei beni finiti, al posto di Dio medesimo; questo peccato pone chi lo compie in uno stato di ribellione a Dio e perciò lo rende meritevole della pena eterna e della morte spirituale.

Il peccato veniale è un atto della volontà con cui si amano in modo eccessivo i beni creati, ma senza preferirli al loro Creatore né riporre in essi il proprio ultimo fine; esso non toglie la Grazia ma affievolisce la carità, predisponendo a commettere il peccato mortale; comunque è meritevole di venia, cioè di indulgenza, il che - ben inteso - non lo rende lecito.

I mezzi per evitare il peccato sono:

1. la preghiera
2. la meditazione
3. l'esame di coscienza
4. la frequenza dei Sacramenti
5. lo spirito di penitenza e di mortificazione
6. la fuga delle occasioni
7. la vigilanza

I peccati, qualunque sia la loro gravità ed il loro numero, possono essere rimessi:

1. con il Battesimo, se l'individuo non è ancora battezzato e - se adulto - crede fermamente nella virtù dei Sacramenti

2. con la Confessione sacramentale, a patto che esista vero pentimento dei propri peccati e ferma volontà di non più peccare

3. con il Martirio per la fede

Il peccato mortale, nel battezzato, può essere rimesso tramite la Confessione; il peccato veniale viene cancellato anche da pratiche di pietà accompagnate da vero pentimento. Si ricorda il famoso distico:

Confiteor,
tundo,
aspergor,
conteror,
oro,
signor,
edo,
dono;
per hæc venialia pono. Mi confesso,
mi batto il petto,
mi segno con l'acqua benedetta,
mi dolgo,
prego,
mi faccio il segno della Croce,
ricevo la Comunione,
faccio l'elemosina;
per mezzo di questo cancello le colpe veniali.

Si dice che vi è peccato materiale in un atto cattivo commesso per inavvertenza o ignoranza non colpevole, senza partecipazione della libera volontà.

Si dice che vi è peccato formale, quando è commesso con conoscenza e libertà, e questo solo è imputabile a colpa.

Come si vede, la sede del peccato sta nella libera volontà; questa però, senza cessare di essere libera, può essere mossa da altre cause, dette impulsive, cioè quelle che in linguaggio teologico si dicono tentazioni e che sono eccitate in noi o dal mondo (l'ambiente corrotto), o dalla carne (le passioni) o dal demonio.

ALTRE DIVISIONI DEL PECCATO

Il peccato attuale è l'atto in sé, volontariamente commesso contro la volotnà di Dio.

Il peccato abituale è lo stato dell'anima in cui si trova l'uomo quando è privo, a causa del peccato, della Grazia santificante.

Il peccato può essere contro Dio (sacrilegio, bestemmia), contro il prossimo (furto, omicidio, ingiuria) e contro se stessi (negligenza nella ricerca della salvezza eterna).

Il peccato può essere di fragilità (dovuto alla debolezza umana) o di malizia (commessi con la libera determinazione della volontà perversa).

Distinzione importante, è quella tra il peccato personale (commesso dall'individuo) e il peccato originale (commesso dai nostri progenitori all'inizio dell'umanità e trasmesso poi con la generazione a tutti i loro discendenti - vedi oltre).

I PECCATI PIU' GRAVI

Vi sono alcuni peccati particolarmente gravi: tra questi vi sono quelli contro lo Spirito Santo, cioè opposti alla Grazia dello Spirito Santo; essi sono più difficilmente rimessi di altri, perché per loro natura escludono le disposizioni dell'anima che la rendono suscettibile della remissione.

Essi sono:

1. disperazione della salvezza eterna
2. presunzione di salvarsi senza merito
3. impugnare la verità conosciuta
4. invidia della grazia altrui
5. ostinazione nei peccati
6. impenitenza finale

Altra classe di peccati gravi sono quelli che gridano vendetta al cospetto di Dio per la loro straordinaria malizia:

1. omicidio volontario
2. peccato carnale contro natura
3. oppressione dei poveri
4. defraudare della mercede gli operai

IL PECCATO ORIGINALE

Come detto, il peccato originale è quello commesso dai nostri progenitori all'inizio dell'umanità e trasmesso poi con la generazione a tutti i loro discendenti.

Per quanto riguarda i progenitori, si parla di peccato originale originante. Rispetto ai discendenti, si parla di peccato originale originato.

Il primo (cfr. Genesi, III) fu compiuto da Adamo ed Eva, creati con la Grazia santificante ed arricchiti di doni preternaturali, nel giardino dell'Eden: essi mangiarono - contro il divieto posto da Dio - il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, su tentazione del demonio.

Il Concilio Tridentino enumera le conseguenze del peccato originale:

1. Adamo ed Eva persero i doni soprannaturali (Grazia e virtù infuse)
2. persero i doni preternaturali (integrità)
3. incorsero nell'ira e nello sdegno di Dio
4. furono resi schiavi di Satana e passibili perciò della pena eterna
5. furono infine vulnerati e in deterius commutati, sia riguardo all'anima che al corpo, nel senso che fu infranta la prima armonia per cui le facoltà inferiori obbedivano alle superiori, e queste a Dio.

Contrariamente a quanto affermano alcuni odierni teologi razionalisti, sedicenti cattolici, tutta la Tradizione della Chiesa e l'esegesi cattolica hanno sempre interpretato come storico ed autentico il racconto della Genesi. Così ha decretato la Pontificia Commissione Biblica (Decr. 30.VI.1909).

Adamo, come capo di tutta l'umanità, danneggiò non solo se stesso, ma a tutti i suoi discendenti; egli perdette anche per essi la Grazia e la santità in cui era stato creato e ad essi pure trasmise il reato di colpa per cui tutti nascono in peccato. Di qui il nome di peccato originale, perché si contrae nella nostra stessa origine, senza alcuna volontaria e personale cooperazione. Alla stessa maniera, se Adamo non avesse peccato, avrebbe trasmesso a tutta la sua posterità i doni soprannaturali e preternaturali di cui Dio l'aveva arricchito.

Essendo un peccato di natura non personale, colui che muore con il solo peccato originale non viene da Dio condannato all'Inferno, ma al Limbo, dove si soffre la sola pena del danno, cioè la privazione di Dio. Per questo si raccomanda di battezzare i bambini il prima possibile, rigenerandoli con il Battesimo alla vita della Grazia in Cristo.

Il peccato originale è dogma di fede definito da numerosi Concili, specialmente dal Concilio di Orange (529) e dal Tridentino.
Tale verità risulta dalla Scrittura e dalla Tradizione e non può essere negata da nessun cattolico senza porsi fuori della Chiesa.

IL PECCATO OGGI

Secondo Pio XII, «il più grande peccato di oggi è che gli uomini hanno perduto il senso del peccato». Perduto o laicizzato: essi possono avere ancora il senso della colpa, un complesso di colpevolezza, ma non più il vero senso del peccato. Perciò bisogna ritrovare il vero senso di Dio e dell'uomo, della creatura davanti al suo Creatore; il peccato non è una semplice mancanza, una contravvenzione, un mancamento: è una ribellione a Dio stesso, è porre i beni transitori prima o al posto del Bene ultimo, che è Dio; anche la contrizione è ben altra dal semplice dispetto di aver compiuto qualcosa di irregolare. Bisogna tornare a concepire il peccato nel suo senso teologico di offesa a Dio, il che suppone una retta conoscenza della psicologia del peccatore e della sua vera responsabilità.



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Messaggio da Venerabile Beda » sabato 30 ottobre 2010, 11:40

Completo, importante e interessante.
Ma rispetto alla preparazione che serve, a mio avviso, è inadeguato.
Forse proprio perché troppo completo. Questo lo devono sapere bene i catechisti... e ovviamente i sacerdoti. E i cristiani più attenti.
Generalmente, l'istruzione religiosa, si dà nella tarda infanzia...
E non si può dare questo malloppo ai bambini del catechismo.
Non a tutti almeno (a qualcuno sì).
Qui il discorso è molto più terra terra, semplice e sintetico.
I 10 Comandamenti, i principali Comandi del Vangelo.
I 10 Comandamenti e il loro significato. In breve, non la disquisizione teologica o catechetica.

Es. Ricordati di santificare le feste

Devo partecipare alla Messa, tutte le Domeniche e a tutte le feste di precetto, rinunciando se necessario a qualsiasi attività ludica, pur di pervenire a questo risultato. Gite e impegni familiari inclusi. Salvo causa forza maggiore. Seria ed eccezionale. Punto.

E via discorrendo per gli altri comandamenti.
In sintesi e chiaro chiaro.
"Sì sì; No no". Il di più viene dal male (disse "un Grande"), o perlomeno, non serve.

Al limite sempre in sintesi, ma più completo:

Principali Verità delle Fede Cristiana

Dove sono presenti in sintesi, anche alcuni spunti da te indicati.
Se si va oltre questo, né gli adulti, né tanto meno i bambini o i ragazzi, si orientano.

Prima una materia, la si deve conoscere...
Dopo che la si conosce, la si può (e la si deve) approfondire.
Ma se si parte direttamente dall'approfondimento... la stragrande maggioranza, non si orienta.
E una parte della confusione dei nostri tempi, è motivata dal fatto, che alcuni sacerdoti, e alcuni catechisti, non danno più risposte chiare.
"Sì sì; No, no". Le eccezioni esistono, è vero.
Ma si fanno troppi distinguo e troppi dipende.
Perché poi così si inizia chiedere (domanda classica da es.:) : "Quando è materia grave"? E si entra in una spirale di eccezioni... "farisaiche".

"Sì, sì; No, no".
Poi Dio sa, se nel caso specifico si tratta di un "Ni", o di un "So".
O addirittura di un "Na".
Ma non è problema nostro. Questo è accogliere il Regno di Dio come bambini (piccoli): "Sì, sì; No, no". Senza elucubrazioni da adulti.

Nell'esempio, io intanto, quando mi confesso, dico al sacerdote che non ho partecipato alla Messa la Domenica... perché dovevo... non so... donare del sangue. Sono giustificato. Ma "non me lo deve venire a dire il sacerdote", e non lo devo sapere nemmeno io. Io mi confesso, e chiedo perdono. Poi lo sa Dio, che non ho mancato al Comandamento. E questo basta. È Lui il Giudice; da questo punto di vista, non è un mio problema. Il mio unico problema, è pentirmi, e chiedere perdono. Punto. Perché anche se quello non è peccato, qualche altro peccato, lo avrò fatto di sicuro. E se non al presente, in passato... e nel futuro. Sono e sarò sempre in debito. Anche se quello non è peccato.

Questo è il senso del peccato.


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